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PRIMA, DURANTE E DOPO IL SI'
Il matrimonio dalla A alla Z
Informazioni utili per affrontare e superare il grande giorno da veri protagonisti

UN PO' DI STORIA: IL MATRIMONIO DELL'ANTICHITA'

  • Matrimonio nella Preistoria
  • Matrimonio nell'Antico Egitto
  • Matrimonio nell'Antica Grecia
  • Matrimonio nell'Antica Roma
  • Matrimonio nel Medioevo
  • Dal Medioevo all'Unificazione D'Italia
  • Il matromonio nell' Ideologia Comunista
  • Il matromonio nell' Ideologia Fascista

  • Matrimonio nella Preistoria
    Intendiamo, con il termine Preistoria, quella remota età della vita dell’uomo che precede i primi tentativi di tramandare ai posteri le proprie testimonianze tramite forme, anche molto semplici, di scrittura.

    Le prime unioni tra uomini e donne di cui si ha notizia con una certa credibilità sono riconducibili ai cacciatori europei dell’alto paleolitico (dal greco paleòs e lìtos = età della pietra antica). Tali relazioni non possono essere circoscritte né all’interno dell’ambito coniugale né di quello extraconiugale, in quanto non esistevano i presupposti sociali ed economici su cui si basa l'istituzione del matrimonio.

    Nelle caverne e nelle palafitte, prime forme di urbanizzazione primitiva, sono stati ritrovati spesso, in grandi quantità, asce, punte di freccia e raschiatoi, incisi con una amorevolezza esagerata e troppo perfetti per essere destinati ad un puro e semplice uso domestico o utilizzati come strumenti di caccia. Gli archeologi pensano, perciò, che tali oggetti avessero uno scopo puramente dimostrativo e seduttivo: servissero, cioè, agli uomini preistorici per impressionare le donne con la loro abilità e precisione.

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    Matrimonio nell'Antico Egitto
    Importantissimo era il ruolo della famiglia nella vita degli Egizi: l’uomo e la donna che non riuscivano a costruire una famiglia non potevano considerarsi realmente realizzati. Antichi manoscritti ci dimostrano che il matrimonio era un patto tra due persone libere e innamorate, nella maggior parte dei casi non combinato dalle famiglie. Spesso la donna egizia, che godeva di una condizione privilegiata rispetto a tutte le “colleghe” degli altri popoli antichi dal momento che poteva ereditare, accedere al sacerdozio e, in linea di principio, anche ricoprire le altre funzioni sociali come quelle degli scribi, non arrivava vergine al matrimonio, anzi era uso frequente intrattenere relazioni prematrimoniali prima di sposarsi. Nei geroglifici che ci sono stati tramandati, la sposa appariva ritratta sempre accanto allo sposo e ai suoi figli, sia in occasioni pubbliche, come feste o danze, che in atteggiamenti privati, come una battuta di caccia o un gioco. Gli stessi faraoni erano, nell’immaginario collettivo, simbolo dell’amore e dell’unione familiare, e la sovrana, come del resto le donne comuni, avevano il ruolo di signora della casa e di supervisore dei lavori. Non esistono reperti archeologici o documenti che attestino alle usanze matrimoniali dell’antico Egitto: forse il fatto stesso di una donna che si trasferiva, con la sua dote, nella casa di un uomo per esserne la compagna, con l'approvazione dei parenti, costituiva di per se un contratto valido per la società. Il matrimonio era una festa molto semplice tra le famiglie dei due nubendi e si concludeva con il trasloco della sposa nella casa del marito.      

    La sposa egizia indossava una "tunica" di lino sottilissimo e trasparente, impreziosita da numerose pieghe. Era ornata da acconciature o parrucche costituite da bende dorate, fermagli, cerchi d'oro, fiori. 

    Una ragazza si sposava in età molto giovane e solitamente con un uomo molto più anziano di lei. I due sposi dovevano appartenere allo stesso ceto sociale e nel caso in cui un uomo si sposasse con una donna di un ceto inferiore, i figli erano considerati del ceto della donna, quindi inferiori. I figli,  in ogni caso, erano trattati con molta dedizione e altrettanto affetto. Tra i resti di questa grandiosa e complessa civiltà, numerosi sono i resti di giochi come piccoli coccodrilli di legno o bambole di stracci con gambe mobili.

    Il divorzio, come peraltro il matrimonio, era un affare privato tra i due sposi: addirittura, il contratto di matrimonio prevedeva un contratto di divorzio che doveva fungere ad garanzia sia per l’uomo che per la donna. Pochi spunti per capire come la donna nell’antico Egitto fosse in tutto e per tutto portata a una dignità davvero eccezionale per i tempi. In caso di divorzio il marito passava degli alimenti alla moglie nella misura di un terzo rispetto alla quota definita nell'accordo iniziale.    
    Cause principali dei divorzi erano il tradimento e la sterilità.

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    Matrimonio nell'Antica Grecia
    Esistevano quattro categorie di donne nella Grecia antica:

    1 - La moglie (damar o gynè): essa era “adibita” solamente alla procreazione degli eredi, non aveva alcun diritto e non partecipava alla vita sociale, che era appannaggio esclusivo del mondo maschile. Veniva destinata al futuro marito fin dalla più tenera età e si sposava attorno ai quattordici anni.

    2 - La concubina (pallakè): nella maggior parte dei casi si trattava di una donna non greca e il suo ruolo, riconosciuto anche dalla moglie era quello di amante ufficiale. I suoi doveri erano comparabili a quelli di una moglie ma non godeva degli stessi diritti civili.

    3 - La donna del piacere (etera): era una donna molto colta e fungeva da accompagnatrice del maschio nella vita sociale. L’etera era pagata per i servigi che rendeva all’uomo a cui apparteneva ed era tenuta in grande considerazione.

     4 – La prostituta (pornè):  anch’essa era una compagna per il piacere, ma, a differenza dell’etera, era solitamente molto povera ed il suo “luogo di lavoro” era la strada.

    Molto differente era, comunque, la legislazione riguardante la donna ed il matrimonio nelle due principali città greche: Sparta ed Atene.

    Ad Atene una donna si sposava, come accennato in precedenza, attorno ai quattordici anni e da quel momento in poi il suo unico compito era quello di dare al marito gli eredi legittimi. Essa non aveva nessun altro compito, neppure la cura della casa che spettava esclusivamente alle schiave e non partecipava assolutamente alla vita sociale, alla quale l’uomo interveniva accompagnato dall’etera. Tutti i beni che la donna ateniese portava in dote, passavano direttamente nelle mani del marito, una volta che il matrimonio veniva celebrato, e ad essa non spettava più nulla, neppure l’eredità che veniva interamente assorbita nel patrimonio della sua nuova famiglia.

    A Sparta, invece, non esisteva alcuna legge che regolamentasse la vita privata e al vita pubblica della donna, e spesso le donne vivevano nella sfrenatezza più totale, causando non soltanto un danno alla famiglia ma anche alla polis. A Sparta le donne godevano di libertà pressoché totale: venivano educate a vivere senza particolari impedimenti o doveri e non dovevano occuparsi né della casa né tanto meno della crescita dei figli. Potevano quindi trascorrere la giovinezza dedicandosi al canto, all’arte in tutte le sue forme e alla ginnastica, crescevano felici e forti nello spirito e nel fisico, in modo che, secondo l’opinione comune, fossero in grado di dare figli più robusti alla patria, e quindi, di conseguenza, soldati più valenti. La sposa era padrona della sua persona e della sua dote.

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    Matrimonio nell'Antica Roma
    Nell’antica Roma, la figlia di una famiglia patrizia aveva come balia e precettrice una donna greca, che, col raccontarle favole e novelle in lingua greca, la istruiva sui primi rudimenti della lingua allora parlata dai ricchi. Nelle famiglie non nobili, invece, la fanciulla all’età di 6 anni veniva mandata a scuola affinché imparasse a leggere e a scrivere.

    In entrambi i ceti, comunque, la vita sociale delle fanciulle iniziava molto presto: verso i 10 anni, infatti, la ragazza veniva promessa sposa dal padre, il quale si occupava non solo dell’organizzazione del matrimonio, ma anche della scelta del fidanzato. Il futuro sposo dava in dono alla fidanzata un anello d’oro o di ferro sul quale erano effigiate due mani che si univano in una stretta. Il matrimonio aveva luogo alcuni anni dopo.

    Il divorzio, nell’antica Roma era un avvenimento molto frequente: uomini e donne si sposavano anche cinque o sei volte. Vi sono anche alcuni esempi illustri: Cesare contrasse ben quattro matrimoni e la prima moglie di Cicerone, dopo il divorzio dal famosissimo oratore e uomo politico romano, si sposò altre tre volte.

    La donna romana che si univa in matrimonio con rito religioso indossava una tunica candida, simbolo della sua verginità,  fermata da un nodo di Ercole che poteva essere slacciato soltanto dallo sposo, era ornata da un velo arancione e portava sul capo una corona di fiori d’arancio. Al termine della cerimonia veniva presa in braccio dal marito che le faceva varcare la soglia di casa, alla presenza di un folto nugolo di invitati. Il matrimonio civile, in uso soprattutto negli ultimi anni della Repubblica avveniva secondo un rituale molto più modesto: lo sposo, dinanzi ai testimoni, chiedeva alla sposa se voleva divenire "mater familiae” e reciprocamente la donna invitava il futuro marito a diventare “pater familiae”. Dopo aver pronunciato entrambi gli assensi la coppia era legalmente marito e moglie. La donna poteva amministrare liberamente i beni avuti in dote dai propri parenti, ma nella realtà dei fatti realtà il capofamiglia era il marito ed ogni decisione che riguardasse la casa e i figli era demandata a lui.

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    Matrimonio nel Medioevo
    Nel 1100 il matrimonio divenne uno dei sette sacramenti riconosciuti dalla Chiesa cattolica di Roma. Il controllo della Chiesa sul sacramento del matrimonio, che fino ad allora, era stato appannaggio dell’Impero, il quale ne rivendicava il carattere assolutamente profano, ebbe una rilevanza decisiva per la caratterizzazione della forma matrimoniale occidentale, da un lato perché, rispolverando le tesi del diritto romano che erano state via via abbandonate, sancì inderogabilmente l’indispensabilità del consenso di entrambi gli sposi perché il matrimonio potesse essere celebrato ed acquisire legittimità, dall’altro perché diede la possibilità anche ai ceti meno abbienti di rientrare in un quadro sistematico e istituzionalizzato.

    L’evoluzione del matrimonio da rito civile a sacramento religioso non fu facile da accettare nell’ambito dell’ambiente ecclesiastico, allora estremamente intransigente, poiché parte fondamentale del matrimonio era il rapporto sessuale, ossia una concetto peccaminoso che cozzava contro l’essenza del sacramento stesso. Il matrimonio nella società medievale aveva come compito principale quello di assicurare la nascita di figli legittimi, che, nel caso specifico della nobiltà feudale, comportava la tessitura di una fitta trama di alleanze familiari per il mantenimento o l’estensione del patrimonio. L'aspetto più importante del ruolo della donna era partorire dei buoni eredi che potessero essere meritevoli della trasmissione del beni degli antenati.

    Prima della celebrazione del matrimonio, i parenti del futuro sposo si recavano a casa della sposa e, in quel contesto, venivano scambiate frasi che suggellavano l’impegno reciproco che dell’uomo e della donna che si era stabilito di unire. Durante la cerimonia nuziale, i gesti di espropriazione e d'investitura simboleggiavano il passaggio di proprietà della donna dal padre al marito. Gli abiti nuziali erano molto colorati, perché sarebbero stati indossati anche in seguito, durante le feste. Il colore più utilizzato era il rosso, colore propiziatorio per la procreazione.

     Marito e moglie dovevano imparare ad amarsi e a rispettarsi e quando erano separati pensare l'uno all'altra. La moglie doveva festeggiare il marito ogni volta che egli partiva o ritornava per un viaggio d’affari o quando rimaneva a lavorare nei campi per intere settimane; doveva essere gentile, affettuosa e comprensiva col proprio marito, per godere sempre del suo amore e del suo favore. La donna era sempre sottomessa alla volontà e alla sorveglianza del marito e la sua libertà di parola e di azione era pressoché nulla.

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    Dal Medioevo all'unificazione d' Italia
    Nei secoli XV, XVI, XVII e XVIII, si andò via via definendo per la donna, in quanto moglie e madre, un ruolo sempre più autonomo. L’emarginazione sociale che la donna aveva subito durante i secoli bui dell’età di mezzo si stava affievolendo, anche se il suo ruolo era sempre e comunque secondario rispetto alla posizione del marito. Durante il Rinascimento e i secoli successivi, almeno legalmente, alla donna fu restituita quella minima parte di dignità che il medioevo le aveva estirpato. La sposa, in ogni caso, continuava a recitare la parte di “merce di scambio” tra le famiglie, nonostante la Chiesa avesse imposto la reciprocità del consenso dei due coniugi perché il matrimonio avesse valore.

    Nel 1400 e nel 1500 la donna, grazie alla cospicua dote donatale dai genitori, “comprava” il marito, che nella maggior parte dei casi apparteneva ad un ceto sociale inferiore al suo. I matrimoni continuavano ad essere combinati, ma, grazie anche alla rivalutazione dell’uomo e della sua natura rispetto all’universo medievale, i rapporti tra i coniugi iniziarono ad essere più veri e spontanei, e non era cosa inusuale trovare due sposi che si amassero veramente.

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    Il matrimonio nell'ideologia Comunista
    L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato di Friedrich Engels, uno dei massimi esponenti, assieme e Karl Marx, dell’ideologia anticapitalista, è forse una delle opere che maggiormente può esplicare la concezione comunista del matrimonio e della famiglia.   
    Marx ed Engels riservarono alla famiglia e al matrimonio un ruolo assai centrale della loro riflessione filosofica e approdarono a soluzioni che oggi, alla luce di molte e successive teorie, possiamo definire materialistiche.      
    Uno degli insegnamenti fondamentali di Engels è che la famiglia non si configura come istituzione assoluta, sacra, ed eterna e tanto meno è riflesso di un disegno divino.

    Engels sottolinea che la famiglia sorge, si estende e si modifica storicamente in base agli sviluppi e alle trasformazioni sociali: in altre parole la famiglia è il riflesso della base economica di una determinata epoca storica.        
    "Secondo la concezione materialistica, - afferma Engels nella Prefazione alla prima edizione de “L'origine della famiglia” - il momento determinante della storia, in ultima istanza, è la produzione e la riproduzione della vita immediata. Ma questa è a sua volta di duplice specie. Da un lato, la produzione di mezzi di sussistenza, di generi per l'alimentazione, di oggetti di vestiario, di abitazione e di strumenti necessari per queste cose; dall'altro, la produzione degli uomini stessi: la riproduzione della specie. Le istituzioni sociali entro le quali gli uomini di una determinata epoca storica e di un determinato paese vivono, sono condizionate da entrambe le specie della produzione; dallo stadio di sviluppo del lavoro, da una parte, e della famiglia dall'altra".   
    In buona sostanza, ad ogni ben definito tipo di società che si è susseguita nella storia, trova riscontro una determinata tipologia di famiglia.         
    Engels sostiene che la famiglia borghese è l'unità economica della società capitalistica.
    La moderna famiglia singola fondata sul matrimonio monogamico e la schiavitù domestica della donna nascono e prendono piede con l'avvento della proprietà privata e della suddivisione in classi della società.        
     "L'origine della monogamia - spiega Engels -, così come possiamo seguirla nel popolo più civile e di più alto sviluppo dell'antichità (...) non fu, in alcun modo, un frutto dell'amore sessuale individuale, col quale non aveva assolutamente nulla a che vedere, giacché i matrimoni, dopo come prima, rimasero matrimoni di convenienza. Fu la prima forma di famiglia che non fosse fondata su condizioni naturali, ma economiche, precisamente sulla vittoria della proprietà privata sulla originaria e spontanea proprietà comune. La dominazione dell'uomo nella famiglia e la procreazione di figli incontestabilmente suoi, destinati a ereditare le sue ricchezze: ecco quali furono i soli ed esclusivi fini del matrimonio monogamico".       
    Nell’ideologia comunista, è proprio mediante la famiglia che il capitalismo si garantisce giorno dopo giorno la riproduzione della forza lavoro, non solo intesa come procreazione della specie, ma anche come appagamento di tutta una serie di bisogni della vita materiale e spirituale che permettono alla forza lavoro di rigenerarsi, rinfrancarsi e modellarsi in base alle esigenze dello sfruttamento capitalistico. Il capitalismo, attraverso la famiglia e in particolare grazie alla suddivisione dei ruoli fra donna e uomo al suo interno, si assicura gratuitamente le prestazioni domestiche della donna, anche nel caso che quest’ultima abbia un lavoro che non coincida con quello di casalinga.    
    In più la famiglia, alla quale viene affidato un ruolo particolare nell'educazione delle nuove generazioni, ha il compito fondamentale di perpetuare e tramandare le idee, i valori e i costumi borghesi, da quelli religiosi e morali, a quelli sociali e politici.      
    Engels chiarisce come la asservimento e l'oppressione della donna nella famiglia e nella società non siano sempre esistite, ma che esse coincidano con l'avvento della famiglia monogamica: "La monogamia non appare in nessun modo, nella storia, come la riconciliazione di uomo e donna, e tanto meno come la forma più elevata di questa riconciliazione. Al contrario, essa appare come soggiogamento di un sesso da parte dell'altro, come proclamazione di un conflitto tra i sessi sin qui sconosciuto in tutta la preistoria” (Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, 1884).

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    Il Matrimonio nell'ideologia Fascista
    Dal 1861, anno dell’unificazione del Regno d’Italia, i rapporti tra Stato e Chiesa erano andati sempre più logorandosi, poiché lo Stato mal sopportava l’ingerenza della Chiesa sulle questioni politiche che ormai non erano più di sua competenza.

    Anche il matrimonio, come istituzione, fu vittima di questa separazione: la legge civile riconosceva solamente il matrimonio laico e non ammetteva a quello religioso alcuna validità; viceversa, la Chiesa Cattolica non era disposta ad accettare alcuna forma di matrimonio che non fosse quella regolata dai suoi ordinamenti.

    Durante il fascismo, Mussolini, conscio del fatto che data l’impossibilità di incorporare la Chiesa nella sua ottica totalitaristica, l’unico modo per averne il consenso era quello di lasciarle ampio spazio ed ampia autonomia, nel 1929 firmò con papa Pio XII i Patti Lateranensi, che prevedevano la stipula di un concordato con la Chiesa che regolasse definitivamente i rapporti tra Regno e Chiesa.

    Anche la legislazione matrimoniale subì una modifica: da quel momento in poi il matrimonio disciplinato dal rito canonico ebbe effetti civili e tale matrimonio, usato anche oggi dalla maggioranza delle persone, fu detto “concordatario”.

    Il fascismo diede un grande impulso al matrimonio, anche se qualche volta rischiò di cadere nel ridicolo: si pensi che addirittura nel 1937 fu introdotta una tassa che penalizzava i celibi!

    L’indipendenza e l’emancipazione femminile, invece subirono una battuta d’arresto: la donna venne identificata come l’angelo del focolare, madre e sposa, e fu ostacolato il suo ingresso nel sistema economico.

    Fu data, dal Regime, grandissima importanza alle cerimonie nuziali e alle feste che ne seguivano, forse per catalizzare l’attenzione degli italiani su aspetti esteriori e goderecci e distogliere le loro menti dal pensiero dalla realtà del presente che, economicamente e politicamente, tutto poteva dirsi tranne che rosea. Gli abiti da sposa, in controtendenza con il mito di Hollywood che si stava in quegli anni affermando, erano molto semplici e puritani, larghi e poco femminili: la donna del regime, alla faccia dell’anoressia, doveva essere robusta e forte, più madre e sposa che amante e compagna.

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